Con la voce dico “spingo”, ed è una cosa. Il mio corpo non “dice”: spinge e basta. Lungo questo spartiacque corre il confine sottile tra due bacini d’esperienza differenti: “spingere” e spingere. Ieri sera, poco prima di cena, ero sul piazzale ghiaioso prospicente la “casa bianca”, l’unico casale di questa tenuta abruzzese non adibito ad agriturismo, teatro dei miei allenamenti sdrucciolosi da quando vengo in vacanza da queste parti. E ascoltavo.
Quante volte avrò spinto nella vita? Milioni probabilmente, e il mio corpo, il me-corpo, lo sa. Poi ci sono due decenni e passa di pratica marziale, e hai voglia. Così spingevo. Non c’era nessuno e intorno non c’era nulla, dunque spingevo l’aria, sostanzialmente. E la terra, ovvio. Spingere il nulla, sentendolo, e ascoltare l’effetto della spinta correre giù giù sino alle piante dei piedi, è una semplice e fantastica esperienza. Si tratta solo di ascoltare.
Sapete che il corpo conosce la sintassi? O forse la sintassi è già espressione di esperienze profondamente corporee, non so. A ogni modo, mentre spingevo, mi accorgevo che c’era spinta e spinta. Così ero io che spingevo qualcosa, o qualcuno, in quest’altro modo era qualcosa o qualcuno che mi spingeva e io mi facevo spingere, oppure respingevo, e ancora ero io che mi spingevo via. “Spingere” è un verbo, spingere è una semplice azione, ma nell’azione ascoltavo le forme attiva, passiva e riflessiva del verbo. Il mio corpo, il me-corpo, stava conversando con il proprio movimento.
Ago 18, 2011 @ 18:17:02
Verissimo Igor, il corpo ha una sua sintassi molto più articolata e complessa della sintassi prodotta dalla sola voce; e se si passa dal corpo ai corpi, almeno due, le singole sintassi vanno a comporre una partitura … il teatro lo mostra in maniera cristallina ma non è forse di questo che parla anche l’educazione?
Ago 18, 2011 @ 23:27:21
🙂