di Igor Salomone
“Ah, non so, io con la tecnologia non mi ci trovo”. Già sentita? innumerevoli volte, direi. Nel mondo degli educatori praticamente è uno standard. Dunque non mi sarei neppure dovuto stupire più di tanto nel sentirla ripetere di nuovo. Era la pausa caffè di un laboratorio. Tutti ammassati attorno al buffet con bicchierino in mano colmo e caldo e un biscotto tra le dita e le labbra. Come da manuale del buon formatore mi sono assicurato che i corsisti se la sapessero cavare on lo spuntino autogestito, in particolare con il caffè da prepararsi a mezzo cialda nell’apposita macchinetta. “Ah, non so, io con la teconologia non mi ci trovo”, era riferito alla Lavazza per l’espresso fai-da-te. La “tecnologia”….? La TECNOLOGIA…? La macchinetta espresso per il caffè in cialde sarebbe una tecnologia che ah-non-so-non-mi-ci-trovo…?
Non può essere, evidentemente. Posso capire mia suocera, forse, ma una ragazza di venticinque anni? No, non può essere. Per esempio, peccato non glielo abbia chiesto, ma ce l’avrà la patente? immagino di sì. E allora non quadra, perchè per quanto possa guidare un’auto di vecchia data, quell’auto è per forza mooooolto più “tecnologica” di una macchinetta per il caffè a cialde. Dunque? Dunque la sua affermazione non può essere presa in senso letterale. Piuttosto direi che assomiglia di più a una posa. Molto diffusa nelle lande italiche e, in particolar modo, tra gli educatori.
C’è qualcosa di sottilmente autocompiacente nel definirsi poco o per nulla “tecnologici”. Come dire, sono mode che mi non mi interessano. Anzi, non mi piacciono proprio. Anzi, nutro una certa ostilità in proposito perchè non le trovo giuste, sinanco pericolose.
Insomma, il mondo sta trasformandosi in modo radicale e inedito sotto i nostri piedi. Davvero possiamo fare spallucce dicendoci che le cose importanti sono altre? e quali, di grazia? Insomma, si può ben aspirare all’eremitaggio, alla vita campestre e comunitaria dimentica del mondo circostante, a un dimensione dell’esistenza racchiusa nel piccolo confine delle persone che si incontrano faccia a faccia e delle cose che si possono toccare con mano, possibilmente “naturali” e prodotte da sè o al massimo nel giro di qualche chilometro da casa nostra. Non è obbligatorio, certo, cavalcare i cambiamenti repentini e profondi, neanche cercare di capirli, si può trattenersi ai margini delle trasformazioni, non averne neppure il più vago sentore e, se è il caso, evitare consapevolmente di accorgersene. I modi del vivere sono mille e mille e ognuno può tentare di scegliere quello che più lo rende felice, o per lo meno che lo fa star bene, o insomma che non lo mette a disagio, anzi, che dal disagio lo tiene lontano.
Ma allora perché fare l’educatore? Davvero ha un qualche senso occuparsi dell’aiutare il prossimo a districarsi nelle enormi difficoltà che il vivere contemporaneo propone a ogni angolo, evitando in prima persona il 99% di quelle difficoltà? Non credo. Qui non è questione di “essere” su Facebook o di utilizzare quotidianamente Internet. E’ questione di essere nel mondo, in questo mondo, e accettarne le sfide. E quella della profonda trasformazione della vita di ognuno prodotta dalla tecnolgia digitale è in questo momento una delle sfide fondamentali. Chiamarsene fuori significa rinunciare a ogni credibilità.
Feb 20, 2011 @ 19:16:54
…condivido…
Feb 20, 2011 @ 23:19:28
..verrebbe da tirar fuori il vecchio Vygostkij..
Mar 18, 2011 @ 23:38:56
mi piacerebe molto che la creatività degli educatori potesse scoprire nuovi orizzonti nell’osservazione del mondo tecnologico.
Un dato di fatto le persone conosciute durante la triennale che detestavano la “tecnologia” ed hanno proseguito con la specialistica hanno superato tutti brillantemente questo gap 😉
Pedagogia digitale – 2 | Cronachepedagogiche
Apr 15, 2019 @ 13:24:13