di Irene Auletta

Ieri sera, di fronte ad un programma televisivo che va in onda da parecchi anni raccogliendo in prima serata un discreto successo, incrocio l’intervista a due insegnanti.

Parlano del loro rapporto con un bambino disabile di 8 anni, ne descrivono alcune caratteristiche e provano a nominare quelli che sono i loro obiettivi, che io immagino di tipo educativo e didattico.

Il tono, il linguaggio e le modalità dell’intervista mi toccano un po’ lo stomaco, ma poiché mi so sensibile al tema, vado avanti finché una delle due docenti enuncia tra i suoi obiettivi quello di umanizzare il bambino. Giuro che ha detto proprio così.

Prima di entrare in qualsiasi disquisizione che certamente si potrebbe avviare a fronte di questa affermazione, tengo a sottolineare il mio giudizio di totale buonafede dell’insegnante e, forse, è proprio questo parte del problema.

Capisco che parlando a volte si facciano strafalcioni e si dicano cose che non vorremmo mai dire ma, quando si ricopre un ruolo pubblico e, soprattutto, si decide di esporsi pubblicamente, ci sono delle responsabilità dalle quali non si può sfuggire. In questo caso la buona fede, o la sua compagna di sempre, la buona volontà, proprio non possono e non devono essere sufficienti.

Di fronte ad un vasto pubblico ritengo che si debbano sempre pesare le parole utilizzate, consapevoli che, comunque, gli ascoltatori faranno un loro utilizzo di ciò che riescono a comprendere.

Ma cosa vuol dire umanizzare un bambino? Renderlo umano forse? O cosa?

Come genitore del bambino raccontato mi sentirei probabilmente offesa, mortificata e, quasi sicuramente, infuriata.

Come professionista dell’educazione, non riesco a non interrogare le pessime figure e l’immagine di scarsa competenza che sovente si incrociano, soprattutto attraverso i media, quando educatori o insegnanti vengono raggiunti da qualche microfono.

Poi magari si scopre che quelle insegnanti sono molto preparate,  capaci e attente a cogliere i bisogni dei bambini ma, quella frase, è rimasta impressa nella mente di chi ha ascoltato e subito commentato su Twitter, senza alcuna possibilità di replica.

Le tracce delle nostre parole possono permanere ben oltre le nostre attese e così, noi educatori, ci auguriamo sia.

Cervello e bocca sono connessi da canali a volte misteriosi e, se ci sono sbavature, mi aspetto che ciascuno se ne assuma la responsabilità.

La brutta figura, rimane.