.

di Igor Salomone

Quinto appuntamento con le Pillole Pedagogiche. Cioè a metà, perchè mi sono dato l’obiettivo di arrivare sino a dieci, almeno per quanto riguarda gli Standard Educativi. Poi vedremo. Le Pillole serviranno anche per altri temi…

Chi invece avesse perso le pillole precedenti, può trovarle seguendo questo link. Non hanno scadenza. Però, attenzione, tenetevi ben sintonizzati, prenderle tutte assieme per recuperare potrebbe procurare fastidiosi effetti collaterali…

********************************
Ciao a tutti,

oggi parliamo di uno standard antico come il mondo e praticamente ubiquitario. Penso ci sia l’equivalente in ogni lingua esistente o esistita.

Del resto noi siamo animali parlanti e alleviamo da sempre la prole con la parola.  Educazione e linguaggio si sono evoluti insieme e gli standard educativi dovrebbero essere considerati patrimonio dell’Umanità e protetti dall’Unesco.

Quindi, anche se gli standard educativi abitano nel profondo del nostro cuore, spesso a nostra insaputa o contro la nostra volontà, dobbiamo guardarli con una certa indulgenza e un po’ di rispetto. Sia che li vogliamo tenere sotto controllo, sia che li vogliamo trasformare.

Dillo a tuo padre è uno standard pedagogico con varie sfaccettature. Innanzitutto c’è la variante di genere: dillo a tua madre. Poi ci sono le versioni più colloquiali: dillo a papà, dillo alla mamma, apparentemente più morbide e meno autoritarie. Tutte queste varianti, sono standard in modalità delega: dillo a…deciderà lui…o lei

Poi c’è la modalità minaccia: guarda che se non la smetti, oppure, guarda che se non fai, lo dico a tuo padre… o a tua madre.

La modalità minaccia è ovviamente più aggressiva, e fa leva sulla paura o sulla vergogna. Sulla paura quando minaccia delle conseguenze. In questo caso abbiamo la sottomodalità: rinvio a giudizio. Sulla vergogna quando minaccia di fare sapere ciò che si vorrebbe nascondere. E abbiamo quindi la sottomodalità delazione.

Lo standard pedagogico Dillo a tuo padre/madre funziona bene anche in modalità delega, detta anche Ponzio Pilato. Vuoi questa cosa? veditela con lui con lei, io me ne lavo le mani.

Però in questo standard non c’è soltanto la volontà di sbolognare una grana a qualcun altro o, peggio, quel po’ di cinismo vendicativo che pure alberga nel cuore dei genitori. C’è molto di più.

Dillo a tuo padre/tua madre oppure, lo dico a tuo padre/tua madre, segnala innanzitutto ai figli che i genitori sono due. Sembra banale, ma è facile dimenticarselo. Non che ci sono i genitori, che sono due. Ovvero, uno diverso dall’altro.

Delegare o minacciare l’intervento dell’altro genitore, fa a pugni con la convinzione diffusa secondo la quale l’educazione viene bene solo se siamo tutti d’accordo. Invece no.

Sopratutto nella modalità delega, Dillo a tuo padre/ a tua madre, indica il fatto che su alcune cose potremmo avere idee diverse, quindi è meglio che cambi interlocutore. Meglio per me che preferisco non esprimermi o, magari, meglio per te che puoi trovare più attenzione o meno severità. Oppure ancora meglio per noi (genitori) perchè tuo padre/tua madre sa tenere meglio in mano questa situazione e insegnarti quello che devi imparare in proposito.

Se non è semplice scaricabarile, questo standard parla anche di una alleanza e di una complicità tra i genitori. Certo, il mestiere dei figli è dividi et impera, ovvero ottenere dall’uno quello che non si riesce a ottenere dall’altro. Ma il loro bisogno è di misurarsi con strategie e stili  educativi diversi. Non certo di fare a pezzi lo slancio pedagogico dei genitori.

L’alleanza tra madre e padre non consiste nell’essere d’accordo su tutti gli obiettivi educativi, ma sul fatto che qualsiasi scelta debba avere degli obiettivi educativi. Anche se non sempre sono condivisi o anche se non sempre c’è accordo sulle strategie da adottare.

Lo standard Dillo a…parlane con… rende evidente questa dinamica.

Poi c’è la modalità minaccia con le due varianti rinvio a giudizio e delazione. Qui la faccenda si fa più delicata. La complicità tra genitori è perennemente in conflitto con la complicità  richiesta spesso dai figli a uno dei due. Richiesta legittima e anche pedagogicamente sensata.

Entra in campo il grande tema delle confidenze e dei segreti. Essere certi che la mamma dirà tutto al papà o il papà alla mamma, impedisce un rapporto di fiducia tra genitori e figli. Del resto, essere certi di poter dire o fare qualsiasi cosa con uno dei due genitori, perchè tanto l’altro non lo verrà a sapere, impedisce di avere fiducia nei loro rapporto. Ecco perchè la faccenda è delicata.

Il nostro standard odierno, se usato con prudenza, ci può venire in aiuto. Se i figli sanno che i genitori si parlano di ciò che i figli dicono e fanno, allora possono provare a confidare un segreto dicendo “però non dirlo a…”. Questa richiesta, apre una negoziazione, quindi è bene che venga formulata. Perchè permette di definire delle condizioni per mantenere il segreto. Tipo cosa dire e cosa no. Cosa è possibile tacere e cosa invece occorre che vada detto. Magari trovando insieme il modo.

Questo vale a maggior ragione per la modalità delazione. Se i figli combinano qualcosa che un genitore vede o viene a sapere e non vogliono che lo sappia anche l’altro, è sempre possibile definire insieme il cosa il quando e il come dirlo. In questo modo si può evitare la delazione, che non è mai un bell’insegnamento

E si può evitare anche la dinamica complementare del ricatto implicita nella variante

Non lo dico a tuo padre/tua madre, ma tu devi promettermi che…