Da due mesi mia madre 83enne vive con me.
Violentemente da un giorno con l’altro ti ho strappata dalla tua realtà, per il tuo bene mamma, per amore, sembra. La dottoressa disse: finché gli anziani sono autonomi é necessario rispettare le loro scelte, poi bisogna intervenire ed in effetti non si sa mai bene “quando” é il momento giusto.
Parole che a tratti, rammentandole, mi risollevano. Non l’ho fatto per farti del male mamma anche se di questo si tratta. Una sofferenza dilaniante é disegnata sul tuo viso e sul mio. Mischiata al mio stato confusionale che alterna senza tregua una compassione traboccante e una rabbia incontenibile, per ciò che ci tocca. Due donne perse. Io figlia e tu madre incapaci di reggersi neanche sulla solidarietà di genere.
Guardandoti, senza essere vista, ho cercato nelle pieghe delle rughe del tuo viso un segno di conforto per te, di riconciliazione per ciò a cui ti sto costringendo per me. Le tue labbra a volte scollegate dalla mente lasciano sfuggire parole ad alta voce, rivolte al nulla, espressione di pensieri segreti in volo “mi é capitata grossa” sussurri. Lo so mamma, ma queste non sono le parole che io avrei voluto sentire.
A settembre al ritorno a casa frequenterai un centro per anziani diurno. Mi ha raggiunto la notizia al telefono. Ti hanno insperatamente accettata! Una vera fortuna. Ed ora, dopo averti tolto da casa tua, dalle tue cose, dalle tue amicizie, dal tuo paese dovrai affrontare anche questo. Ad 83 anni? Mi sembra di essere di fronte a quei giochini per bambini che si trovano sparsi sui lungo mare dei luoghi di vacanza creati apposta per far spendere soldi ai genitori: “spara all’orso” mi pare si chiamino. Giochi in cui non appena sconfitto un mostro se ne fa avanti un altro! Allenarsi a non avere pace é il loro insegnamento.
Mamma ci devi andare, ti dirò, è importante per la tua salute, farai delle attività. Potrai avere nuove amicizie. Sapendoti lì io starò più tranquilla al lavoro.
Ad ognuno la sua parte ed a me ora tocca di scegliere al posto tuo e nel mio intimo so che alla fine é un trucco. Si tratta di scegliere tra la tua qualità della vita e la mia e io scelgo per me mamma. Per la mia sopravvivenza, per l’equilibrio dei rapporti all’interno della mia famiglia, per il nostro benessere e poi, anche per te mamma, che hai avuto la fortuna di invecchiare. Ci sono tanti modi di essere madre, tu non mi hai mai curato come classicamente ci si aspetta, ma ora, alla fine, accettando silenziosamente di entrare nella città dolente, anteponendo la mia serenità alla tua, ti stai occupando di me.
Ago 30, 2014 @ 08:38:30
Ciao Nadia,
che fatica leggerti!!
Forti emozioni, disequilibri, rabbie, indecisioni, non riconoscimenti reciproci sono difficili da attraversare.
Quando e’ iniziato 8 anni fa l’invecchiamento di mio papà con anche fasi di aggressioni visi che è violente, con una necessità di cura perché piano piano non e’ più riuscito a camminare, ricordo mi sentivo rubata la mia vita…era troppo quello che mi veniva chiesto da quella situazione!! Inoltre tra noi sorelle c’era una sorta di rivalità, gelosia e incomprensione…come cose sospese che sono esplose proprio in questo frangente.
Parlandone con Irene ricordo che le avevo chiesto “e tu come fai?”
….lei in qualche modo mi ha parlato della sua responsabilità genitoriale e inoltre differenziandola da ciò che coinvolgeva me e mio padre, mi ha liberato dalla mia responsabilità, come dire non era così obbligatoria come la sentivo.
Strano, con quelle parole mi sono tolta un peso….
..chissà, poi deve essere successo altro, perché dopo 8 anni mi sto ancora prendendo cura di mio papà …e insieme alle mie sorelle.
Un abbraccio Nadia, spero che ti arrivi la forza per trovare un modo tuo e suo di starci dentro alla vecchiaia, per come e’ possibile farlo.
Ago 30, 2014 @ 11:37:48
Grazie Luigina della restituzione, hai colto nel segno, la fatica é data principalmente da quel minestrone di emozioni, sentimenti, affetto, non detti, false credenze, non riconoscimenti… sospesi… che si sino presentati puntuali tutti insieme ed ora! Ed io sono figlia unica. Il tempo dedicato alla cura di tuo padre mi spaventa. Non tanto per la fatica (che comunque conta) quanto per il dolore che bisogna metterci… E questa un’altra dimensione fantasmatica… Poi mi dico: ce la fai tu, ce la fa Irene… Ce la si può fare. Quello che spero davvero in cuor mio é che questa esperienza non rimanga schiacciata dentro ai confini del sacrificio perpetuo, necessario o meno, ma che inauguri una nuova fase della mia vita in cui io riesca a trovare ancora il senso e il piacere di imparare cose che senza non sarebbero state possibili. Dimensione che in questo momento mi sfugge… Ma in questo so che non sono sola, posso chiedere aiuto e confidare su di voi Luigina ” Amazzoni e Penelopi” donne equilibriste!
Ago 30, 2014 @ 13:01:36
Ce lo siamo dette nel corso del nostro ultimo evento come gruppo Amazzone o Penelope (http://amazzoneopenelope.wix.com/sito) e forse sta sempre di più prendendo forma la possibilità che si ragioni insieme di cura e di responsabilità attraverso quel mondo femminile che, ogni giorno, cerca un senso proprio nelle storie di cura “permanente” di cui, le donne in particolare, sono chiamate a farsi carico da generazioni.
Trovare legami, nessi, continuità parlando di mondi differenti che siano bambini piccoli, anziani, disabili, malati cronici è davvero un’occasione per non rimanere schiacciati sulla contingenza individuale di ciascuno e provare a trovare nuovi significati anche nella possibilità di produrre sapere e cultura sulle variegate dimensioni della cura.
La strada è assai complessa ma sul fatto che si possa intraprendere, imparando, non ho molti dubbi.
Ago 30, 2014 @ 11:59:15
mi piace molto leggervi …ascolto e imparo …
Ago 30, 2014 @ 13:02:59
grazie … e benvenuto!
Ago 30, 2014 @ 14:39:17
Condivido Irene. Grazie Mario!