Ogni tanto ritorna. Una sorta di bisogno di pulizia semantica che, come patita dell’ordine e della cura, anche sul fronte dei linguaggi e dei significati mi ha fatto sviluppare nel corso degli anni una sorta di attenzione, pure un po’ maniacale.
Questi genitori non cambieranno mai. Povero bambino, si meriterebbe due genitori diversi! La madre è davvero troppo ansiosa. Perchè questi due continuano a fare figli? Lo capiranno mai che il figlio a ventidue anni non è più un bambino anche se disabile?
Ci sono affermazioni che sono come note stonate sempre ma che finiscono addirittura con il diventare stridenti se pronunciate nei contesti sbagliati. Ogni volta in cui nel mio lavoro sono chiamata a fare una valutazione, ne sento tutto il peso della parola che impone serietà e competenza, soprattutto quando in gioco ci sono persone e vicende umane.
Troppo spesso assistiamo a scivolate di stile e di contenuto in comunicazioni bisognose di tatto, cura e attenzione. Parlare dei loro figli con i genitori, vuol dire intraprendere un rispettoso percorso di incontro in territori complessi incrociando menti, cuori, culture e storie.
Ultimamente, in diversi contesti, ho sentito una forte distanza da frasi troppo affacciate al balcone dei sentimenti. Se devo sentire cosa farei d’istinto … Se ascolto la mia pancia. Dal punto di vista emotivo e via, su questa scia. Certo che la dimensione emotiva è importante e certo al quadrato che l’attenzione posta al complesso dialogo tra razionalità e attenzione alle emozioni è questione delicata e degna di nota.
Il fatto è che però, non di rado, fatico a rinvenire il gusto del sapere tecnico. Mi chiedo cosa accadrebbe se un chirurgo in sala operatoria si lasciasse prendere dalle emozioni, se un ingegnere di fronte ad un progetto ascoltasse molto la “sua pancia”, se un meccanico si perdesse tra le vie del cuore piuttosto che tra gli ingranaggi di un motore.
Trovo assai rischioso quello che può accadere proprio nelle professioni educative e di aiuto soprattutto se penso a quanto spesso oggi arrivano ai servizi socioeducativi richieste di “valutazione delle funzioni e delle competenze genitoriali”.
Sento dire spesso che non ci sono ricette. Ecco, appunto. Oggi vorrei dire a tutti coloro che si trovano a fare questa affermazione, e anche a me stessa, che quando siamo di fronte a dei genitori non siamo in una cucina e il nostro compito non è di elaborare un gustoso soufflé.
Ci sono certo la prima impressione, le reazioni emotive, il possibile coinvolgimento ma, attenzione, ci sono anche saperi, teorie, sguardi e approcci sperimentali. Conoscerli non è mai stato un opzional. Oggi, più che mai.
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