di Irene Auletta
Di recente, dopo diverso tempo, sono rientrata a far parte di un percorso formativo rivestendo il ruolo opposto a quello che da anni indosso comodamente. Ne ho sempre teorizzato l’importanza perché, nella logica maestro e allievo, l’inversione dei ruoli mi ha sempre insegnato molto.
Eppure stavolta l’insofferenza ha preso il sopravvento, condita da una stizza che mi ha colpita non poco, facendomi ritrovare di fronte a nuovi interrogativi, prima di tutto, rivolti a me stessa. Come mai ho sempre sostenuto il valore del “doppio ruolo” e ora mi ritrovo a rivestire i panni dei formandi più odiosi che negli anni ho incrociato sul mio sentiero di docente e formatrice?
Il senso di disagio poi e’ andato crescendo man mano che altri colleghi, sicuramente meno severi di me, provavano a restituirmi l’importanza di una comprensione verso i formatori del corso, come a dire che, non era di certo colpa loro se alcuni partecipanti avevano al loro attivo un’esperienza professionale (e culturale) non prevista forse dall’accordo e dall’ingaggio formativo.
E, devo riconoscere che, anche questo aspetto, e’ portatore di una sua verità.
Ma allora perché quella stizza pungente che mi ha riportato indietro nel tempo e incontro a sentimenti che credevo sepolti una volta per tutte?
Eppure, sempre di recente, ho conosciuto un nuovo supervisore che mi ha fatto sentire perfettamente a mio agio anche nei panni di “allieva” e che anzi, dopo ogni incontro, mi ha lasciato quel senso positivo e frizzante che riconosco ogni volta che imparo grazie all’incontro con qualcuno.
Quindi, non è che proprio non riesco a fare l’allieva!
Alla fine stamane l’ho capito o forse mi sono semplicemente arresa di fronte ad un’evidenza che in questi giorni mi ha reso sorda e cieca. Ogni ruolo chiede capacità e competenze e, indubbiamente, io in alcune situazioni proprio non ci so stare. Avrei dovuto avvertire prima il pericolo di ritrovarmi in una situazione simile e invece ci sono ricascata. Le motivazioni possono essere molte e tante credo di averle capite e imparate.
Ho imparato (o forse l’ho ritrovato ancora una volta ribadito) che dirsi di non essere capaci non è un valore solo per gli altri, che l’eccesso di umiltà rischia di confondersi con un senso di complicità che non mi appartiene, che ogni stagione, della vita e della professione, ha i suoi tempi e i suoi spazi. Io stavolta ho proprio toppato.
Non saranno contente le docenti del corso di ciò che ho imparato perché probabilmente nel loro intento c’era altro ma forse potrebbero accontentarsi, per quello che mi riguarda, del premio di consolazione. Loro, intenzionalmente, non mi hanno insegnato nulla circa i contenuti ma mi hanno permesso di afferrare qualcosa di nuovo su di me.
Non importa se quello che ad altri appare come severità per me si inserisce in un orizzonte etico e neppure importa la mia critica che credo assai fondata rispetto alla povertà dei contenuti proposti dalle due formatrici. Importa che ho sbagliato posto, che detesto troppo perdere tempo per permettermi di farlo e che non mi sono ascoltata a sufficienza per dire basta, ammettendo il mio limite.
Stavolta punteggio equo per maestre e allieva. Entrambi insufficienti.
Giu 02, 2014 @ 15:38:14
…come direbbe cucciola Chiara…a volte siamo “telepatiche”. Anche io “reduce” da uno “scuorno” (direbbero i napoletani). Ma, forse, anche “toppando” si impara.
Grazie Irene.
Giu 02, 2014 @ 15:51:39
ma pensa …. davvero telepatiche!!!
grazie anche a te Monica
Giu 02, 2014 @ 16:41:52
Limite comprensibile…se si sperimenta cosa vuol dire essere allieva si ha un metro di misura che aiuta a scegliere quella desiderata 🌸
Giu 02, 2014 @ 16:47:54
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