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Su indicazione di un amico feisbucchino, Demetrio Conte, ho seguito con attenzione questa TED conference. Fortunatamente sottotitolata nell’unica lingua che conosco. Adoro le persone che sanno raccontare in quel modo cose così complesse, vale la pena, lo riconosco.
Nel merito gli esperimenti di Sugata Mitra sono davvero affascinanti. E si deve anche essere divertito parecchio.
Tuttavia l’idea di far fare un passo indietro all’insegnamento per organizzare processi di autoapprendimento collaborativo non è affatto nuova. E’ un’idea che precede di decenni l’esplosione del web e della conoscenza depositata in Rete.
Che poi la scuola sia ancora lì con la centralità dei processi di insegnamento e che lo sia in tutto il mondo, è un dato di fatto.
C’è una questione che il discorso di Sugata lascia però in sospeso, una questione in sospeso da decenni: riorganizzare l’insegnamento richiede ripensare le forme dell’insegnamento.
Non basta indicare come potrebbero apprendere per conto loro i bambini. E tutto quello che riesce a dire la conferenza è che chi insegna, a scuola, in famiglia e in ogni luogo, dovrebbe porre domande e poi tirarsi indietro e stupirsi delle risposte.
Sarebbe già una grande rivoluzione se tutti gli insegnanti imparassero a fare ciò, questo è certo. Ma se tutti gli insegnanti dovessero capire di colpo che devono imparare a fare ciò e lo facessero, non avremmo affatto quel mondo di bambini avanti di dieci anni che preconizza Sugata. Perchè il compito educativo si deve nutrire di domande e di stupore, è necessario riscoprire questa verità, ma non può limitarsi a questo.
Le domanda da porsi non è: come facciamo a far sì che chi apprende, apprenda seguendo i propri processi di apprendimento? ma piuttosto: quali sono i compiti di chi educa verso chi appende? Perchè questa funzione si trasforma, ma non viene meno neppure nella prospettiva proposta da Mitra.
Va notato che nella conferenza di Sugata Mitra ci sono tre elementi che fanno da ordito al suo discorso e che rischiano di restare sottortraccia, mettendo in primo piano essenzialmente la capacità esplorativa e creativa dei bambini.

Il primo è che i bambini imparano insieme.
E’ la scoperta collettiva che funziona, non l’onanismo cognitivo. Dunque i bambini devono imparare due cose contemporaneamente: qualcosa sulle conoscenze che stanno indagando e la capacità di farlo assieme. Considerare questi due livelli di conoscenza come equivalenti è un errore madornale. Del resto non è un caso che lo speaker, non a caso un informatico, parli essenzialmente di conoscenze fisiche, chimiche e matematiche. Non si impara a lavorare assieme con quel tipo di conoscenze. Il meno che possa capitare in un processo di apprendimento collaborativo non tutelato, è che qualcuno impari molto e qualcuna altro molto poco e solo di riflesso. Se è vero che i processi cognitivi sono diversi per ognuno, in un gruppo di apprendimento è facile che chi ha più forza, imponga i propri processi di apprendimento agli altri. Sapere e potere vanno sempre di pari passo e pensare che l’arretrare del potere dell’insegnante azzeri la dinamica del potere nell’apprendimento è pia illusione.

Il secondo è l’elemento motivazionale.
Metti un aggeggio strano e affascinante nelle mani di chi non l’aveva mai neppure visto e i bambini iniziano a giocarci. Facile. Ma ci giocano perchè sono interessati ai contenuti offerti, o usano i contenuti offerti per poterci giocare? Chissenefrega, si potrebbe dire. Sino a un certo punto. Perchè se la motivazione fondamentale è l’interesse al gioco è l’enigma costituito dal funzionamento di un oggetto, una volta svelato l’enigma il gioco non è più divertente. Inoltre il processo di apprendimento non può essere spacciato a lungo per un divertimento. Imparare costa fatica, comunque, anche se è divertente e anche se impariamo cose che vogliamo nel modo in cui vogliamo. Dunque è anche questo che i bambini devono imparare, oppure al primo ostacolo e alla prima noia, potrebbero abbandonare il campo.

Il terzo elemento è che i bambini imparano insegnandosi tra loro.
Questo fatto, lungi dal rendere marginale l’insegnamento, non fa che evidenziare come insegnare sia il modo migliore per imparare. Insegnando si impara, e questo dà senso fra l’altro all’apprendimento collaborativo, dunque occorre rafforzare, trasformandola radicalmente, la struttura dell’insegnamento, non ridurla a una sorta di distributore più o meno intelligente di input seguiti da “ohhh” i stupore per quello che poi accade…

Detto questo, possiamo anche buttare a mare la scuola così com’è. Molto di ciò che dice Mitra è corretto sul piano storico. Ma gettar via una struttura pedagogica obsoleta non significa disfarsi dell’educazione fantasticando che i bambini, senza questo vecchio arnese, se la caverebbero meglio da soli.