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Luna è sdraiata, stravaccata direi, sul  letto mentre noi quattro, padre, madre, nonno, nonna, stiamo correndo avanti e indietro per assemblare il pranzo da consumarsi, come al solito, nel retro del nostro appartamento agrituristico, in quel di Terralieta, località Fossocorno, Cologna, Teramo.

E’ l’ultimo di questi nostri pranzi ventilati all’aperto, prima del rientro in città. Un po’ allegro, un po’ dispiaciuto, come sempre appetitoso. E Luna ci osserva indaffarati mentre aspetta la Marimba. Sua madre quest’anno l’ha pavlovizzata con quella suoneria e lei, ora, da sdraiata si materializza vicino al tavolo appena la sente.

Nel mio andirivieni cucina-patio, passando ogni  volta dalla camera, lancio un  sorriso a mia figlia che ricambia. “Servita e riverita!” mi vien da dirle ad alta voce, mentre lei mi  segue con gli occhi e quel suo mezzo  sorrisino da Gioconda. “Mi sembra il minimo!”, replica sua madre che dalla cucina mi ha  sentito.

Sì, ha ragione. Servire una persona come mia figlia, è proprio il minimo. Ma non per pietismo o desiderio di riparazione: va servita perchè non è in grado di servirsi da sola.

Ognuno, alla fine, deve in funzione di quello che può. E per quello che non può, occorre che l’aiuti qualcun altro. Ci facciano un pensierino tutti quelli che, pur potendo, pensano di non dovere. Ne avessero bisogno, si facciano  un giro dalle mie  parti mentre serviamo nostra figlia. Capiranno anche perchè, in aggiunta, la riveriamo.