Continuo la discussione dell’articolo di Repubblica del 5 gennaio. Passo al secondo punto di quelli elencati qua sotto. Il primo lo trovate qui.

internet e neurofisiologia da Repubblica 5 gennaio 2013

2. La scrittura. Gli studenti fanno fatica a scrivere a mano perchè sono abituati a utilizzare la funzione di “completamento automatico” su computer e cellulari

“Ma quale tastiera e tastiera, vuoi mettere il piacere di veder correre la penna stretta fra le proprie dita, lasciare quel solco continuo sul foglio bianco? parole che nascono davanti ai tuoi occhi, lettera per lettera, mai una uguale a un’altra. Errori sempre dietro l’angolo che poi non rimedi con un canc. Ti tocca usare la scolorina, oppure rifare tutto. Quello sì che era scrivere! e assumersi anche la responsabilità di quello che andavi scrivendo. Perchè restava nero su bianco. Non come adesso che scrivi, cancelli, poi riscrivi  e magari dopo un anno correggi ancora”

Questo disse il padre al figlio che scorreva veloce le dita sul suo pc, immergendosi in ciò che vedeva comparire sullo schermo per non ascoltare l’ennesimo sermone sui bei tempi andati

“Seee, la penna, biro magari – disse il nonno – o anche stilografica, meglio certo, ma niente a che fare con il pennino intinto nel calamaio! Dovevi stare attento non solo a quello che scrivevi, ma anche al rischio continuo di sporcare e sporcarti. Che bello era avvolgere e girare il foglio con un gesto elegante e rispettoso, per vedere ciò che scrivevi senza spanderlo con la manica? E l’odore? l’odore dell’inchiostro che si diffondeva dal calamaio tutt’in giro?”

Padre e figlio lo ascoltarono appena, con un’alzata di spalle. Si sa, i vecchi…

“La penna d’oca!! la penna d’oca, cari miei” il bisnonno fece la sua comparsa autoritaria come al solito. “Non avete idea di cosa vi siete persi scrivendo con tutta quella robaccia che è arrivata dopo!”

“Ma sei scemo? penso tra sè e sè il tris-tris-trisavolo che aveva scritto per tutta la vita, era uno scriba alla corte dell’imperatore, su tavolette di cera. “Incidere è la vera natura dello scrivere, non sporcare un pezzo di pergamena con del pigmento colorato! Ma cosa vuoi che ne sappiano questi giovani sempre pronti a lasciare le cose belle per l’ultimo giochino tecnologico portato dai mercanti dai loro viaggi oltre oceano?”

Nel frattempo, il bisnipote del figlio, mentre stava componendo un documento multimediale, ipertestuale, transinterattivo e multdimensionale, agitando le dita per aria, ancheggiando, ruotando su se stesso, toccandosi varie parti del corpo ed emettendo tutta una serie di suoni, mugugni, scricchiolii, fischietti e schiocchi con la lingua, pensava al suo povero prozio che per fare altrettanto gli ci sarebbero volute settimane passate su quel vecchio arnese visto al museo. La chiamavano “tastiera”. Incredibile.

Ho sostenuto per molto tempo che gli educatori sono privi di senso estetico. Mi sbagliavo. Ho capito che l’essere umano, mentre si cala nelle proprie responsabilità educative, diventa improvvisamente un esteta radicale. Di quelli che le cose belle sono sempre e immancabilmente le cose di una volta. In qualche modo, l’educazione sembra condannata a un estetismo conservatore. Che ci può anche stare, se significa aiutare a non perdere il valore e la bellezza delle cose passate.

Ma l’estetica del nuovo, a chi la facciamo insegnare?