C’è qualcosa che sottilmente accomuna fenomeni apparentemente lontani tra loro. Le invettive neoqualunquiste contro partiti, caste varie e poteri assortiti che provengono assomigliandosi da ogni parte, appartengono tutte al grande fronte del grillismo. Ovvero di quel costume estremamente diffuso nella nostra cultura che potremmo definire dell’additare. 

Puntare l’indice su qualsiasi cosa facendolo a pezzi vuoi con le peggio parole, vuoi con analisi sottili, è il modo più semplice, per chiunque, di sembrare intelligente. Tutti amiamo sentirci intelligenti, nel senso che l’intelligenza resta ancora un valore assolutamente condiviso e una virtù della quale nessuno vuole essere privato. L’intelligenza però è una pratica faticosa, quindi ognuno va in cerca di ogni scorciatoia possibile, e l’additamento è la regina delle scorciatoie.

Additare vuol dire essenzialmente sottolineare ciò che è sbagliato, brutto, ingiusto, inefficace, negativo. E dato che per ogni scelta possibile, il numero degli errori possibili è sempre di gran lunga superiore a quello dei successi concreti, ovvio che l’esercizio dell’additamento costituisca una facilissima strada per il successo cognitivo. “Visto? L’avevo detto!!” costituisce generalmente il premio più facile da riscuotere.

Se vogliamo avere una qualche possibilità di incidere sulla trasformazione della cultura di questo Paese, invece, credo dobbiamo imparare collettivamente l’uso dell’indicare. Ovvero praticare la speciale virtù del puntare l’indice verso un orizzonte, un obiettivo e una o più strade per raggiungerlo, o almeno per provarci.

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Che è anche l’unica possibile prospettiva pedagogica capace di uscire dal pantano ormai epocale prodotto dall’ipertrofia dello sguardo, sempre più acuto, accompagnato dalla povertà del gesto, sempre più impacciato.