All’apparenza e in lontananza sembrava un ambulante, tanto era carica quella figura vista in controluce. Da vicino era invece inequivocabilmente una nonna che camminava al fianco di un ragazzino attorno ai dieci anni, inequivocabilmente il nipote, addobbata del di lui zainetto, gonfio all’inverosimile, e del di lui giubbotto, faceva caldo quella mattina. Nel frattempo il pargolo giocava con qualche diavoleria elettronica.
Sì dirà, eehh le nonne! No. Dopo un minuto e qualche metro stessa scena con quella che era, inequivocabilmente, una madre.
Insomma, qualcuno avrebbe la gentilezza di spiegarmi perché a quell’età, quella del ragazzotto non quella della nonna, non solo portavo da me la cartella, ma ero io ad accompagnare a scuola la cuginetta di un anno più piccola, mentre pare che tra i tanti nuovi ruoli delle figure parentali odierne, sia diventato di moda quello dello sherpa? Che sarebbe anche plausibile, se i ragazzi di cui nonne e mamme fanno il portaborse, stessero per compiere chissà quali avventure memorabili. Ma per permetter loro di giocare con una playstation portatile??
La mia di nonna, mi ha stressato per decenni con una frase che ho imparato a odiare: “dove andremo a finire?”. In effetti posso ancora evitare di pronunciarla, perché dove siamo andati a finire l’abbiamo sotto gli occhi. Basta aggirarsi un una mattina soleggiata qualsiasi nei dintorni di una scuola, verso l’ora d’uscita.