“L’educazione ha un grande potere, spinge ad aiutare una persona timorosa ad attraversare la strada e fa danzare su due zampe i barboncini”

Francamente mi aspettavo di meglio da Vincenzo Cerami, se è quel Vincenzo Cerami, al debutto oggi in prima pagina sull’Unità con la rubrica “UnaParola”. E la parola odierna, ovviamente, è appunto Educazione.
Dunque l’Educazione, che sarebbe importante e Cerami per sostenerlo scomoda in poco più di cinquanta righe Platone e Danton, avrebbe un grande potere, tant’è che viene saldamente trattenuta nelle mani dei boy-scout e degli ammaestratori. Anche delle madri, per la verità, categoria cui Cerami dedica il suo fondo. Sin dall’incipit.
 

“C’era una madre che prendeva a schiaffi i figli sia quando li vedeva piangere, sia se li vedeva ridere (…) Per lei sbellicarsi dal ridere voleva dire cedere a sentimenti poco urbani, quando non proprio irriverenti: e struggersi in lacrime ingiustificate era togliere dignità al pianto vero. Che nasce da un dolore profondo.”

Che diamine, un po’ di disciplina! E il dileggio della disciplina, questa antica categoria del pedagogico rimossa dal nostro orizzonte negli anni ’60, fa il paio con il suo attuale sfacciato ripescaggio. Per una conferma immediata quanto spiazzante, si consiglia un giro in libreria, reparto “educazione-maternità-ragazzi”.
Sempre in quella stessa libreria potete poi scivolare un po’ più in là, verso la zona best-sellers e incrociare l’ultima fatica di Susanna Tamaro. L’ho vista e sentita qualche giorno addietro sul La7, in
Niente di personale, e mi sono trovato di fronte l’epigone dell’odierna Vandea pedagogica in rapida rimonta. Si ha un bell’affannarsi nel tentativo di salvare l’educazione dalle ceneri del post-moderno se al tuo fianco sfrecciano tutti quelli che apparentemente vogliono la tua stessa cosa, ma stanno schizzando a tutta velocità nella direzione opposta. Chissà se Cerami lo sa?

Posso anche essere ingeneroso nei suoi confronti, del resto. Dopotutto in una cinquantina di righe mica poteva lanciarsi in un trattato filosofico-pedagogico di spessore. Però nessuno l’obbligava a scegliere un ritratto di mamma che ricorda il Padre Jorge de Il nome della rosa di Eco, o di iniziare la sua rubrica proprio con la parola “Educazione”, se non ha avuto il tempo di prepararsi a sufficienza. 

A meno che non sia un vizio della categoria “scrittori”, soprattutto se di spessore o di successo, dir banalità sui problemi educativi. In effetti qualche tempo fa in Con occhi di padre, mi sono già preso la responsabilità di decostruire il ragionamento pedagogico di un Erri De Luca, che in Tu, mio, riusciva a confondere l’esperienza vitale dell’educazione, quella cosa per cui ne va della vita, con un divertissement per giovani ricchi annoiati, con un passatempo d’estate, magari formativo, ma pur sempre un passatempo. Con la Tamaro della Vita-Vera, dell’Educazione-di-una-volta, magari condita con un pizzico della tradizione esotica del Maestro di Arti Marziali e della disciplina tipo tira-la-cera-togli-la-cera, e le ultime parole di del Cerami di UnaParola, fanno tre.

Forse che le banalità sull’educazione riescono a rendere meglio sul piano letterario, di un qualsiasi discorso appena meno di superficie sull’argomento? Può essere. In effetti il pedagogico è dannatamente noioso. Anche e soprattutto quando è di spessore. C’è un solo problema. Nessuno va a cercare verità sulla fisica delle particelle nei romanzi o sulle rubriche dei quotidiani. E’ nei romanzi e sulle rubriche dei quotidiani, invece, che si costruisce giorno per giorno una verità sull’educazione, che siamo poi costretti quotidianamente a combattere quando l’educazione, nostro malgrado, dobbiamo praticarla.