In un parco gioco poi, è facile che il vento raduni, con pazienza da cane pastore, melanconici mucchi di fronde estive ormai ingiallite, negli angoli lontani dai giochi e a ridosso delle panchine.
Càpita anche di sentir accompagnare questo trionfo di colori dal calpestìo elettrizzato di piedi bambini che, alla faccia del passar delle generazioni, continuano a trovare testardamente magici i mucchi di foglie secche.
Càpita del resto, di vedere piedi adulti inseguire preoccupati quei piedi bambini, per dissuaderli dall’infilarsi in quel pericoloso ricettacolo di chissà quali invisibili insidie. Come stamattina quel giovane padre che stronca sul nascere lo sguazzamento arboreo del figlio di un paio d’anni, dicendogli di non ruzzolare come una gallina nell’aia. Chissà che intendeva dire. Forse che poteva inciampare su un picciolo rinsecchito e ruzzolare a gambe all’aria? Vivaddio! Un pericolo quasi mortale. Ma che c’entrano le galline? E l’aia poi, sono decenni che nessun bambino gioca in un’aia, e quei pochi che lo fanno dovrebbero essere protetti dal WWF. Però “aia” resta una parola curiosa, piena di vocali, che ancora alberga nei sussidiari e nei libri di storie, mitologica e irraggiungibile quanto Principi, Principesse e Tartarughe Ninja.
Forse è per questo che il giovane padre è incorso in un capitombolo filologico, confondendo il ruzzolare con il razzolare proprio di un mondo gallinesco anch’esso scomparso, visto che le aie hanno ceduto il posto agli allevamenti in batteria dove ai pennuti è difficile muoversi, figurarsi andar di qua e là becchettando e raspando con le zampe il terreno alla ricerca di cibo.
Càpita in compenso di veder bambini razzolare in mezzo alle foglie solo se l’esperienza è condotta in un laboratorio, come possiamo chiamarlo? di “esperienza sensoriale”, rigorosamente delimitato e possibilmente con un manto di appendici arboree rigorosamente selezionato e preventivamente setacciato.
Magari quel bimbo di questa soleggiata domenica mattina di novembre, prossima settimana potrà rifarsi dell’esperienza soffocata sul nascere dal babbo in qualche angolo dedicato all’autunno nel suo bel Nido sotto casa. Glielo auguriamo. Poi, certo, da qualche parte nel suo formando cervello si attesterà l’idea che per razzolare, o per ruzzolare che a questo punto saranno la stessa cosa, occorre avere un luogo appositamente attrezzato e qualcuno che ti permetta di farlo dalle alle e nella misura in cui. O per lo meno, che queste siano le condizioni per poter razzolare (ruzzolare) bene…
Da qualche altra parte delle molteplici intelligenze pedagogiche, invece, ci si chiede com’è che lo spirito esplorativo e la capacità di rischiare con responsabilità e intelligenza, nelle nuove generazione siano virtù in caduta libera.
Mah. Capita.
Apr 08, 2008 @ 18:28:00
voglio provare va vedere se posso commentare senza dovermi loggare….
Apr 09, 2008 @ 18:46:00
Quanta invidia provavo da bambina per l’infanzia campestre e spericolata di mia madre…lei stessa si dispiaceva per i vincoli cittadini che aveva imposto, suo malgrado, alla mia infanzia…paradossalmente ha sempre avuto eccessiva ansia nei confronti dei pericoli cittadini.Strano?BohFranci
Apr 14, 2008 @ 23:56:00
Un giorno è capitato, è capitato un giorno di dicembre che l’educatrice di un nido si sia messa a giocare con le foglie secche in giardino. E i bambini a seguirla, o lei a farsi seguire, o di tutte e due un pò…Non è che sia successo tutto e subito, ci è voluto un pò, come un pò ci mette la gallina a cercare nell’aia il vermetto. Ci è voluto un pò, un pò di tempo per farsi guardare. Ci è voluto un attimo per provare piacere, quattordici attimi per far com-prendere ai bambini la bellezza di “stare”, nel gioco del piacere e nel suo bello, tondo respiro. Chissà come mai. Forse perchè quei bambini erano tristi e addirittura violati in quel nido? Forse perchè quel nido era un posto di matti, poi finito sotto inchiesta? Forse perché lei stessa stava andando fuori di matto? Mah, non lo sa mica l’educatrice se la faccenda sia tutta qui. Un’altra volta, in un altro nido, si era tolta le scarpe, “per davvero”. E par far sentire ai bambini la sabbia “per davvero”, le era toccato di provare piacere. Errore, e il gelo intorno. Un gelo educativo intendo, mica emotivo. Recidiva la fanciulla, se, come sostieni, il piacere non è oggetto di laboratorio e, in quanto tale, non esponibile allo sguardo di infanti, dentro e fuori le stanze pedagogiche. Sempre ammesso che il piacere sottenda tutte e due quegli altri, che richiami gridando: il rischio e l’ esplorazione. Si domanda la fanciulla: che facciamo? i nostalgici, i post moderni, i qui-ed-ora? non lo sa la fanciulla che, tra il ruzzolare e il razzolare, sceglierebbe entrambi.Scafata e prudente, questa volta lo farebbe “per finta”, mica “per davvero”…