noia (1)“Francamente non riesco a coglierne il lato positivo” . Due padri, bar, colazione assieme per l’ultimo dell’anno. Evidentemente col tempo il cenone si anticipa… Stavamo parlando della noia che entrambi avevamo vissuto, e alla grande, durante l’adolescenza. “Me la ricordo benissimo”, dice il padre-amico, “ma non capisco perchè dovrei ricordarmela come una cosa buona…”

L’esperienza della noia è solo una tra le tante che sembrano scomparse dall’orizzonte esistenziale dei ragazzi. Ne avevamo fatto un lungo elenco: i giochi di cortile, le prime avventure fuori dai cancelli, gli spostamenti autonomi per la città, i luoghi di ritrovo “solo per ragazzi”, il muretto, la piazza. Il mio amico si ritrovava su tutto, compreso la preoccupazione per questa estinzione di massa delle esperienze che per noi erano state formative.

Ma la noia…

Ricordo benissimo il giorno in cui ho iniziato ad annoiarmi. Va bene, magari non proprio il giorno esatto, ma il periodo mi è chiarissimo. E sopratutto l’atmosfera. Sino al giorno precedente passavo i miei pomeriggi tra biglie, nascondino, palla-prigioniera, un-due-tre stella!, Napoleone, verbi e difetti. Il giorno dopo ero appollaiato sul passamano degli scalini d’accesso alla mia scala, in quel cortile del complesso di abitazioni popolari, con i miei compagni, chiedendoci a turno: “che facciamo?”.

Ecco, potrei definire la noia come lo spazio tra quella domanda e l’assenza di una risposta. O, in alternativa, come lo spazio tra quella domanda e l’arrivo di una delle due o tre risposte che eravamo riusciti a costruirci. Trovare una risposta e mettersi finalmente a fare qualcosa, naturalmente, non significava l’aver trovato ciò che veramente volevamo fare, ma ciò che ci decidevamo a fare per spostare un po’ più in là l’inesorabile riproporsi successivo di quella domanda.

Siamo andati avanti così per anni. Eppure…

Eppure è stato proprio in quei lunghi e interminabili anni che ho scoperto pian piano cosa volevo. O, per lo meno, che ho iniziato a intuirlo.

La mia adolescenza è iniziata il giorno esatto in cui ho deciso che dovevo uscire dall’infanzia. Certo, nessuno lo decide in questo modo, ma se da un giorno all’altro smetti i giochi che hai fatto sino a quel momento perchè senti che non vanno più bene, che persino te ne vergogni un po’, è esattamente quello che ti sta succedendo.

Uscire, però, non significa necessariamente entrare. Ho lasciato alle spalle un intero mondo, ma non avevo la più pallida idea di quale fosse il mondo nel quale sarei dovuto approdare. Mi sono avventurato in alto mare, senza intravedere le coste della terra promessa. E’ questa condizione che mi ha permesso di cercare e di cercarmi. Il prezzo sono stati una noia infinita e un senso di smarrimento permanente.

Poveri, dunque, quei ragazzi e quelle ragazze cui noia e smarrimento non siano concessi. Poveri, perchè la loro esperienza ne risulterà depauperata. Perchè non sapranno forse mai lasciar qualcosa senza aver già in mano ciò che verrà dopo. Perchè non potranno fare esperienza del vuoto, senza la quale è difficile apprezzare la qualità del pieno. Perchè vivranno una vita sotto tutela, che non saprà dar valore al distacco, alla perdita, all’incerto, al non ancora.

Questo, alla fine, mi ha insegnato la noia: se non si rischia mai di perdersi, è difficile imparare a ritrovarsi.