di Igor Salomone

L’hanno chiamata “Quercia di Montale”. Troneggia, acciaccata e sostenuta da tutori, nel bel mezzo dei Giardini Pubblici di Porta Venezia, a Milano. La palina installata vicino alla staccionata di protezione, dice che ha 230 anni.

E’ una splendida e tiepida giornata invernale, siamo qui per goderci un po’ di sole e girare i mercatini di Natale. Mentre tua madre ti porta verso il cuore luccicante e giostroso del parco, mi fermo per un minuto davanti a quell’albero sontuoso, affascinato. Come una donna molto anziana, è lì ad ascoltare i suoi ultimi anni di vita vestita della propria antica dignità, ormai da tempo decadente.

Il cartello racconta di un albero nella fase morente dell’esistenza, divenuto un habitat complesso e ricco che tentano di salvaguardare. Mi colpiscono i funghi enormi attaccati alla corteccia, belli e sinistri. E i  rami giganteschi sostenuti da pali, adornati da una chioma invernale rada e sparuta, pallido ricordo di uno splendore lontano.

Alle mie spalle, d’improvviso, sento la voce di un bambino che indica stupito la vecchia signora. “Non ti avvicinare, il recinto l’hanno messo per un motivo!”, replica una voce adulta maschile. Il padre, a occhio e croce. Il bambino si ferma affascinato quanto me davanti a quel monumento alla vita e ci riprova: “Guarda papà!”, indicando i meravigliosi funghi a mensola. “Sì” risponde il padre mentre si allontana, “sono funghi, ora andiamo”.

Dai figlia mia, ora raggiungo te e la mamma e ci facciamo un giro sul brucomela, per l’occasione travestito da slitta di Babbo Natale. Non puoi sapere nulla della Quercia di Montale, della sua veneranda età, del rigoglio che la tarda età le ha regalato, dell’attenzione che gli umani le hanno creato attorno. Ma non ti preoccupare, sei in buona compagnia.