Di Igor Salomone
È una vita che faccio un sacco di cose. Probabilmente per evitare di confondermi con ognuna delle cose che ho fatto. E nemmeno con la loro somma, se è per quello.
Ma il mondo va da un’altra parte e il linguaggio pubblicitario un po’ lo rappresenta, un po’ ce lo porta. Ogni spot, ogni video su YouTube, ogni discorso nei bar o nei giardini pubblici, spinge prepotentemente ognuno a identificarsi con le proprie attività se non, peggio, con i risultati di quelle attività. Viviamo la civiltà della performance. E se per caso quella performance ti viene male sei fregato, non sei più nessuno.
No caro copyrighter, no caro artdirector, contenti per la vostra performance non ho idea di quanto vi rendiate conto della vostra responsabilità nell’uccidere giorno per giorno, da decenni, il senso delle cose. E solo per poterle vendere. Ma io non ci sto. Continuerò a insegnarmi e a insegnare che siamo ben altro rispetto a ciò che facciamo e sappiamo (o non sappiamo) fare. E se volete, posso persino aiutarvi a vendere cose a delle persone, invece che a quei simulacri di esistenza che insistete a chiamare consumatori.
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