di Irene Auletta
L’avete saputo di Federico? A volte le domande sembrano creare ponti per potersi parlare e per dare voce a quel racconto che attendeva paziente di essere condiviso. Lo scorso anno quando ho incrociato lo sguardo di questa madre non ho avuto bisogno di conferme.
Ci siamo ritrovate per diversi anni sulla stessa spiaggia scambiandoci delicati sorrisi, unite dalla nostra stessa peculiare esperienza di maternità. Ma lo scorso anno quel filo mi ha raggiunto subito strappato e la conferma della morte del bambino e’ arrivata a dire di quel dolore già preceduto da qualsiasi parola. Io non ho osato dire nulla, ne’ lo scorso ne’ quest’anno, anche se i nostri occhi, incontrandosi, si sono comunicati parecchie sfumature.
Oggi la spiaggia e’ quasi vuota e solo in pochi non hanno rinunciato di farsi accarezzare da un vento forte e caldo. Il momento ideale per far arrivare vicino quella domanda, come una vela che unisce destini e sorti. La madre racconta e si commuove e le lacrime riempiono senza pudore anche i miei occhi. Il dolore, la mancanza, la voglia di arrendersi e la forza ritrovata, ogni giorno, nella presenza degli altri figli.
Tuo padre porge delicatamente quella domanda che immagino lì in attesa prima di sentirla. Ma avere altri figli non ti aiuta? Sai, noi che abbiamo una sola figlia spesso ci facciamo questa domanda. Forse madri e padri, di fronte a quesiti analoghi, hanno risposte differenti e solo nella tenacia di questo confronto si può trovare un respiro di vera vicinanza.
Il cuore spezzato che continua ostinatamente a battere, il senso incolmabile di perdita e quel vuoto che toglie il fiato. Per quella madre gli altri figli sono una storia “a parte” diversi da quell’amore speciale. Nulla da dire, solo da ascoltare e, quando accadono incontri così forti, mi accorgo di respirare piano quasi che anche il mio respiro possa disturbare.
Le parole devono poter volare nel loro tempo maturo e forse oggi anche le emozioni si sono un po’ riempite di leggerezza piena di aria di mare. Auguro a quella madre di continuare a crescere nel suo percorso e nella sua ricerca, perché il tempo possa farle intravedere ciò che mi pare ancora sepolto nell’ombra.
Oggi ho compreso ancora di più perchè la parola accettazione mi raggiunge sempre più estranea, vuota e sovente stucchevole, sia che si parli della peculiarità dei nostri figli sia che si parli della loro perdita. In casi analoghi, e nelle loro molteplici sfumature, il dolore non può essere “accettato” ma deve poter trovare un suo luogo dove accomodarsi, dove potersi ammorbidire con il passare del tempo e dove non manchi la possibilità di prendersene cura. Insieme al figlio ancora al tuo fianco oppure insieme al suo intramontabile ricordo.
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