identità di genere

 

di Igor Salomone

Un bambino in Canada non risulta all’anagrafe né maschio né femmina. Pare sia la prima volta nel mondo. La madre dice che non vuole scegliere per lui/lei quale dovrà essere il suo genere, quindi è riuscita a far aggiungere ai suoi documenti una bella “U” che sta per unidentified accanto ai più classici e internazionali M e F. Questa sarebbe la notizia e sta girando in rete in questi giorni in modo virale per l’interesse che la cosa suscita.
La questione in realtà, ho scoperto, è piuttosto complessa. Sesso, genere e orientamento sessuale non sono la stessa cosa, quindi in realtà quella madre non ha voluto indicare il sesso del/della figlio/figlia alla nascita per non pregiudicare la scelta di genere futura. Se vi interessa approfondire la questione potete leggere questo post. Fine della notizia, almeno per come gira in Rete.

La notizia che ha colpito me, invece, è un’altra. In nome dell’autodeterminazione del figlio/a, un genitore non sceglie ciò che dovrà scegliere lui/lei in futuro. E’ possibile compiere una scelta del genere? No. Sul piano educativo non esistono le non-scelte perchè non scegliere qualcosa per i propri figli è una scelta e, come tutte le scelte, è gravida di responsabilità.

Ci sono un sacco di cose che i miei genitori hanno scelto di non scegliere al posto mio, ad esempio l’identità religiosa, e gliene sarò eternamente grato. Mi hanno concesso una libertà straordinaria attraverso i vuoti educativi, grazie cioè a tutto quello che non mi hanno insegnato. Una libertà che ha avuto i suoi costi, ovviamente, ho trascorso l’intera vita a giustificare il mio totale disinteresse per il tifo calcistico, dato che in casa mia, oltre alla religione, un altro grande assente era il pallone.
Non credo però che l’identità di genere sia neanche lontanamente paragonabile a quella religiosa o da curva sud.

Quel/quella bambino/a come si riferirà a sé quando inizierà a parlare? Sopratutto, come parleranno a lui/lei i suoi genitori? e come dovrebbero parlarle/gli nonni, zii, amici, vicini di casa, educatori, insegnanti? Si può costringere un/una bambino/bambina a entrare in guerra con i pronomi proprio nel momento in cui sta per definire una delle primissime e fondamentali identità: quella linguistica? E si può francamente costringere l’intero mondo che lo/la circonderà a parlare una neolingua, oltretutto decisamente brutta? Le lingue non si costruiscono a tavolino e, sopratutto, non si può decidere di parlarne una propria, incomprensibile ai più.
O meglio, si può deciderlo benissimo, e quella madre l’ha fatto. Quello che non si può fare è spacciare questa decisione per un atto di libertà nei confronti di chi questa scelta dovrà subire.
E questa è la notizia.

L’autodeterminazione è un valore sacrale e va pensata con estrema attenzione sul piano educativo, cercando, se possibile, di evitare pasticci. L’idea che l’autodeterminazione si sviluppi facendo decidere qualsiasi cosa ai bambini sin dalla più tenera età, dal colore della pastasciutta al sesso, è una delle più grandi bufale pedagogiche contemporanee.
L’autodeterminazione è una conquista, non una gentile concessione e, come tutte le conquiste, si deve misurare con dei vincoli dati. Il sesso è uno di questi. Nasci maschio, nasci femmina, nasci con entrambi i sessi, nasci senza sesso, il mondo ti deve mettere di qua o di là. Ma non perchè è così sulle carte di identità, perchè è così che sono strutturate le lingue, almeno quelle indoeuropee, e se vuoi entrare nella comunità dei parlanti, e degli scriventi, devi essere collocato in un genere. Dopo, la sensibilità educativa ti aiuterà a tenere aperte o meno le prospettive e tu, quando sarà il tempo potrai decidere se tenere o cambiare questa identità iniziale. Si può pensare di non dare un nome a un bambino perchè magari potrebbe non piacergli? o magari di non assegnarlo ai suoi genitori, che potrebbe più avanti volerne degli altri?

La responsabilità educativa risiede proprio nella difficile e compromettente pratica del decidere per l’altro, sapendo distinguere tra le decisioni necessarie e quelle che non lo sono. Sarei curioso di seguire nel tempo quella madre per vedere quante decisioni imporrà nel tempo a suo/sua figlio/figlia a partire dalla scelta del nido e poi del tipo di scuola, per non parlare dei regimi alimentari, delle appartenenze religiose o politiche, delle regole di comportamento in pubblico.
La capacità di scegliere è forse la facoltà più delicata e importante e dobbiamo impararla rischiando, sbagliando, lottando, fallendo, pagando. Per riuscirci abbiamo bisogno di basi solide di scelte già fatte da altri che facciano da perno ai nostri movimenti di emancipazione.
Far scegliere ai bambini ciò che deve scegliere il mondo adulto, significa invece caricarli di una responsabilità schiacciante e insostenibile. E significa fare confusione tra ciò che un genitore deve scegliere e ciò che potrebbe anche evitare di imporre.