di Irene Auletta
Da ieri continuo a leggere post e articoli che risuonano di cuori pesanti, indignazione, rabbia, stupore e sconforto. Si alternano gli scritti di personaggi noti a quelli di perfetti sconosciuti, quasi in una collettiva preghiera muta di fronte alla notizia di qualcuno sfuggito ad un inferno e precipitato in uno forse peggiore.
Si, perché Emmanuel Chidi Namdi e sua moglie Chinyery, forse per un attimo si erano permessi ancora di sperare, anche dopo aver perso figli, genitori, amici, lavoro, casa. Dopo aver perso tutto, tranne che loro stessi e la loro unione. Forse si erano davvero illusi di poter ricostruire, di dimenticare almeno un pochino, di tornare a sorridere, di credere, di potersi ritagliare uno spazio decente per vivere.
Ci sono giorni in cui la brutalità mi raggiunge con maggiore forza e, proprio in questi momenti, riappaiono forti tutte le domande che purtroppo la storia ci ha mostrato tante volte senza pietà. Ma gli uomini e il male sono davvero così indissolubilmente legali? E noi, cosa possiamo fare? L’inferno, al di là delle fantasie dantesche dei libri di scuola, non sarà mica quello che invece alcuni uomini e donne si ritrovano ad attraversare nel corso della loro vita, su questa terra benedetta e maledetta?
Continuo a incrociare le immagini di una coppia che sembra felice nel giorno del loro matrimonio e subito dopo quelle di una donna seduta, vestita di bianco, che canta piangendo per la morte del suo uomo. Note strazianti, con la voce rotta che chiede Dio dove sei?
Io non ho risposte. Credo solo nelle responsabilità individuali di tutti gli uomini. Di quelli di strada e ancora di più di coloro che rivestono ruoli pubblici e che forse, anche senza invocare i funerali di Stato, dovrebbero fermarsi e ascoltare tutti i pizzichi delle loro coscienze, dove l’ignoranza più assoluta a braccetto con l’arroganza, in alcuni casi la fanno da padrone.
Io, posso solo scrivere e sperare che si continui a scrivere, postare, rilanciare, condividere. Facciamo diventare virale l’indignazione.
Facciamolo per noi, per tutti quelli che ogni giorno sono impegnati ad aiutare e a costruire nuovi futuri e possibilità, per chi ancora crede nel futuro e non intende lasciare lo spazio alla sfiducia cieca.
Facciamolo, ancora, per l’anima vagante aggredita da uno stolto e per quella ancora lì, ancorata su quella sedia, a piangere cantando.
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