di Igor Salomone
Scene pericolose, seconda giornata al Pitturello, Torre dei roveri, Bergamo. Quando compare l’obiezione. Anzi, l’Obiezione. Quella capace di far tremare il terreno su cui poggia l’intera esperienza. Che poi serve a ritrovarne il senso, forse, se ci si riesce. Insomma, diceva l’educatrice, va bene che quello che stiamo vedendo funziona per il contenimento delle situazioni di crisi, ma io faccio l’educatrice. A dire che se uno fa l’educatore dovrebbe anche avere nella testa e nel cuore la possibilità che l’altro impari, non solo evitare che faccia, si faccia o ci faccia del male. Giusto. Giustissimo. Sacrosanto. Vuoi che Difesa relazionale possa ridursi a rendere semplicemente più sicure quelle “scene pericolose” che gli educatori calcano assieme ai loro interlocutori?
Mi sono immaginato con gli occhiali da sole scuri, abito nero d’ordinanza, auricolare con cavetto a spirale che si immerge nel colletto, intento a scrutare tutt’intorno per anticipare e fermare i pericoli. Tu fai l’educatrice, ho risposto, io il pedagogista, non l’uomo della security… Però lo snodo era cruciale e l’educatrice aveva puntato il dito dove andava puntato.
Insomma, che sono mai queste “scene pericolose”? il luoghi educativi, certo. Ne abbiamo esplorato un po’ quella seconda giornata: comunità per minori e adolescenti, centri diurni e comunità residenziali per disabili, spazi neutri. Li abbiamo stanati tutti nel loro essere insieme scene che proteggono e scene che fanno paura. Fanno paura per ciò che vi può esplodere da un momento all’altro. Fanno paura e, di conseguenza, può esplodere qualcosa da un momento all’altro. E dunque? mi è capitato di utilizzare l’espressione abusata “mettere in sicurezza”. Non so se ho fatto bene, troppo connotata. Fuorviante, forse. Però le pratiche che abbiamo sperimentato, al di là di come le abbiamo chiamate, riducevano la soglia di pericolosità. Obiettivo raggiunto? no. Quello era solo un mezzo. Diminuire la soglia di pericolosità significa soltanto renderla sostenibile. E rendendola, proprio perchè sostenibile, pensabile.
Grazie educatrice che hai posto la domanda delle domande: che rapporto c’è tra il pericolo e l’educazione? che va sostenuto, contenendolo, perchè costituisca un’occasione per imparare. Imparare a difendersi, intanto. Ma anche imparare che difendersi è legittimo, perchè serve a imparare. E dunque che chi educa ha una responsabilità duplice: affrontare il rischio e presidiarne la soglia.
Il post di Alice Tentori qua sotto, racconta una storia così…
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