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L‘Uomo Nero, spauracchio di bambini da infinite generazioni. Assieme a suo cugino: il Ba-Bau. Entrambi deputati a mettere un confine all’istinto marachelloso e disobbediente dei più piccoli, sembrano da tempo derubricati, confinati nel recinto dei vecchi arnesi pedagogici, additati dal politically correct e dalle mode educative d’avanguardia.


Ma il mondo dei consumi ricicla tutto, facendolo ovviamente pagare per nuovo, e gli Uomini Neri tornano, sì, però per spaventare i grandi. Cosa accade allo spauracchio per antonomasia nel passaggio dalla collocazione originaria tutta interna al mondo dell’infanzia che cresce, a quello attuale dell’adulto infantilizzato?


Intanto cambia che Uomo Nero e Ba-bau si fondono. L’Uomo Nero era un signolo individuo acquattato nel buio pronto a portarti via, magari su chiamata. Il Ba-bau probabilmente è il nome bambino che evoca il lupo, grande terrore ancestrale, e il suo branco. Estinti i lupi, è l’Uomo Nero a muoversi in branco e non viene a prenderti su commissione, ti aspetta agli angoli delle strade. E non ti porta via. Ti lascia dove sei, con qualcosa in meno. Con molto, moltissimo in meno, consumato dalla ferocia collettiva.


Sembra definitivamente smarrito il senso di una minaccia tutta tesa a provocare obbedienza, sì, ma anche capace di produrre curiosità e fantasie di trasgressione. L’Uomo Nero ti porta via se non ti comporti bene, dunque spaventa, ma incuriosisce anche perché l’Uomo Nero, col suo “portarti via” è anche metafora del crescere, che è sempre un lasciare.  Resta solo una minaccia collettiva, utile solo a far restare ognuno dov’è già, magari muovendosi il meno possibile.


E allora ecco rinnovarsi il rito della caccia. Del branco che insegue il branco. E vinca il più forte. Il più agguerrito. Il più deciso a difendere i suoi.


Igor