punto-di-domandadi Irene Auletta

Ne avete mai incrociati anche voi di quei personaggi che, dopo poche ore o giorni di conoscenza, esibiscono certezze proprio laddove voi, dopo anni, brancolate ancora tra le ombre? Io ne ho incontrati parecchi, sia nella cerchia professionale che in quella più delicata della mia vita privata e devo riconoscere, che se in passato mi creavano diversi pruriti, ora sto imparando a osservarli da una certa distanza.

Proprio da questa prospettiva non vedo più persone sicure, dotate di fine intelligenza intuitiva e capaci in un attimo di capire tutto, ma solo insicurezza, superbia, superficialità e sovente, tanta ma tanta ignoranza.

Si signora, è chiaro che suo figlio si comporta così perché … Quella madre non sarà mai capace di attenzioni diverse….  I due genitori sono irrecuperabili… Più di così con quel tipo di disabilità, non è possibile fare … E via di questo passo a raccogliere sentenze più che valutazioni, giudizi vuoti più che pensieri ancorati seriamente alla realtà e a un qualche sapere.

Anni fa tacevo, per inesperienza e giovane età. Ora basta. Ho scelto di fare una professione che mi porta a contatto con le persone e con le loro storie, con operatori impegnati quotidianamente in un lavoro educativo, in un mondo dove parlare di educazione non è solo un vezzo ma un valore imprescindibile di ciascuna azione.

Qualche giorno fa, durante un convegno dedicato al tema della Narrazione, ho incontrato persone che da anni, e a vario titolo, lavorano con grande serietà nel mondo dei servizi rivolti alla persona e alla prima infanzia nello specifico. Ho sentito molte domande e riflessioni aperte, ho raccolto tante emozioni, ho avvertito quel sapore frizzante che solo la passione educativa fa riconoscere.

Non ci posso pensare che facevamo anche noi molti di questi lavori e ora il nulla! Non posso credere che tutto sia andato perso e che per molte colleghe lavorare con i bambini non sia più una ricchezza e il cuore del nostro lavoro. Ma cosa possiamo fare secondo te? Un’educatrice con cui ho lavorato per molto tempo anni fa, di fronte all’esperienza di altre colleghe esibita durante il convegno, non è riuscita a trattenere lacrime di dispiacere per ciò che non c’è più nella sua realtà e, di gioia, per quanto ancora è possibile fare altrove.

In occasioni come queste si incontrano sempre persone che anche dopo molti anni di professione sono ancora lì per imparare, riflettere, interrogare e confrontarsi e altre che devono esserci per raccogliere il minimo monteore di formazione obbligatorio, previsto dai loro servizi.

Non è necessario essere particolarmente perspicaci per riconoscerne le differenze. Per fortuna, nei miei incontri, le appartenenti alla prima categoria sono ancora la maggioranza e sono quelle che restituiscono ogni volta senso al mio lavoro. Le altre le vedo sempre più lontane, perse tra i loro punti esclamativi a rinforzarsi delle loro insipide certezze.