domande fragilidi Irene Auletta

Ogni volta che leggo articoli come questo, storie, testimonianze, denunce che, senza alcun imbellettamento, svelano realtà di maltrattamenti e violenze, mi ritrovo a fare i conti con una varietà di emozioni e pensieri. Di certo non posso non sentire quella morsa allo stomaco e alla gola che penso di condividere con tutti coloro che  leggendo, immaginano il proprio figlio , in quella situazione. Rabbia e dolore si mescolano in quella bevanda amara che per taluni è come la bibita quotidiana.

Però, tra tutti i toni del cuore, compaiono anche pensieri e interrogativi che mi lasciano spesso come un po’ sospesa in uno stato di forte incertezza. Rivendicare diritti è cosa assai seria ma, dopo tanti anni, tante storie terribili che si ripetono sempre uguali, mi chiedo se, in aggiunta a quanto si agisce su più fronti ogni giorno, non sia necessario porre in evidenza anche altro.

Quale forza e forma può assumere l’indignazione per essere vista, ascoltata e accolta ancora più seriamente? Le storie di violenze rivolte ai soggetti più fragili, bambini piccoli, disabili, anziani, soprattutto quando avvengono all’interno di strutture che dovrebbero accoglierli e prendersene cura, mi spingono a pensare a quanto sta accadendo proprio in questo momento storico e al grande disinvestimento rivolto a questi servizi.

Vado dicendo da anni che di fronte ad alcune tipologie di persone prese in carico, è necessario mettere in conto le possibili reazioni prodotte dalle derive legate agli eccessi di cura. Non voglio fare un discorso etico ma molto realista. Lo sanno bene anche le persone che si prendono cura dei propri cari, di come la cura ripetuta per anni, sempre uguale, possa logorare fino a far perdere il senno. Non è sufficiente, per molte persone, affidarsi all’amore incondizionato, al senso del sacrificio, al senso del dovere e, anche una risposta violenta, può essere un urlo di aiuto.

Certo, la questione è molto differente se parliamo di un familiare o di un operatore ma temo che alcune criticità vadano affrontate in entrambi i contesti. Anche gli operatori hanno bisogno di sostegno, momenti di discussione e valutazione, controllo e confronto. Lasciarli soli e caricare solo sulle loro spalle la responsabilità di alcune fatiche vuol dire chiudere gli occhi di fronte all’inevitabile.

Oggi, le strutture sociali ed educative sono sempre più in ginocchio, colpite dai tagli fiscali e dai mancati finanziamenti. Il problema è di certo umano, ma anche sociale e storico. Non mi frega un granché di raggiungere cuori, mi piacerebbe raggiungere cervelli. Forse è questo lo sconforto più grande.