Il problema di ogni stile di combattimento è che insegna ad affrontare un avversario sulla base della propria strategia. Che può anche funzionare se il tuo avversario ne segue un’altra. Ma se ti trovi davanti uno che si muove come te, devi solo sperare lo faccia peggio di te. Perfetta come aspettativa in un combattimento che, come ho già detto, è fatto di regole e scopi comuni. Tiro di boxe e davanti ho uno che tira di boxe. Usiamo entrambi le stesse tecniche, gli stessi principi, gli stessi modi di muoversi l’uno nei confronti dell’altro. Dunque ce la dobbiamo giocare sulla maggior preparazione atletica, sulla superiorità tecnica oppure sull’intelligenza capace di sfruttare la strategia di combattimento comune a proprio vantaggio. Ma se dobbiamo difenderci, non funziona.

Per definizione un incontro che chiede di adottare una strategia di difesa, è del tutto indeterminato. Nel senso che non è dato sapere praticamente nulla in anticipo attorno a quello che accadrà. L’unica regola forse certa è che se vieni attaccato non devi fare la stessa cosa che fa l’altro, a meno che tu non sia manifestamente superiore. Ma del resto, in quel caso, puoi anche evitare di farla. Dunque il principio fondamentale di ogni strategia di difesa è aggirare l’abilità dell’altro, arrivando dove l’altro non si aspetta, creando un effetto sorpresa che metta in scacco ciò che sa fare meglio.

Conseguenza diretta di tutto ciò è che ogni stile di combattimento dovrebbe poggiare su due didattiche complementari e distinte. Da una parte insegnare a combattere con le regole e gli scopi che gli sono propri, per imparare a salire su un ring o su un tatami e confrontarsi con i propri simili. Dall’altra insegnare una molteplicità di strategie di difesa sulla base di una semplice ipotesi: cosa devo fare se devo difendermi da uno come me…