Di Igor Salomone
Il nesso educazione-violenza-difesa è il nesso da afferrare e comprendere per ripensare attraverso le lenti della difesa relazionale l’educazione stessa nella sua interezza e nella sua profondità di struttura sociale
I piani in gioco sono:
a) l’educazione incontra la violenza, inevitabilmente. La prospettiva irenica che immagina di costruire luoghi educativi bonificati da ogni forma di violenza se non addirittura da ogni sorta di conflitto, proprio per evitare che si arrivi a esprimere con la violenza, sono evidentemente dei falsi ideologigi
b) l’educazione non incontra la violenza solo come altro da sè. L’educazione è un’esperienza sociale e come tale partecipa della struttura originariamente conflittuale della medesima. Non esiste rapporto sociale senza conflitto. Come tutti i rapporti sociali può non riuscire a elaborarlo senza arrivare allo scontro violento.
c) l’educazione è per sua natura costitutivamente violenta. Questo è lo strato più profondo, perennemente latente, che rifiutiamo di guardare presi come siamo da una prospettiva, una vera Koynè, che ci dipinge l’educazione, quella che vorremo fosse l’educazione naturalmente, come il lato buono della Forza. Quello cattivo essendo il resto della vita. Ma l’educazione non solo capita che si faccia sedurre dal lato oscuro (punto b), succede anche che non possa evitare un certo grado di violenza. Non può sempre risolvere il conflitto specifico e potente che il rapporto educativo produce in una dinamica partecipativa e negoziata. Ha l’obbligo, quando non vi sia altra strada, di vietare, obbligare, coercire, impedire. Quando l’educazione si trova costretta a dire “per il tuo bene”, esercita una pressione che dal proprio punto di vista è “forza” che l’altro percepisce come violenta nella misura in cui quel “bene” in realtà viene interpretato come un danno ai propri danni. Perchè il “bene” non presente di un futuro possibile, è quasi sempre un danno per il presente concretamente esperito.
Allora, se l’educazione incontra inevitabilmente la violenza, prima di tutto fuori di sè come espressione del mondo, in secondo luogo dentro di sè come caduta e infine, più profondamente e più incisivamente, come proprio compito maledetto, occorre che l’educazione faccia della difesa il proprio orizzonte.
Apr 23, 2011 @ 09:19:34
Ciao, capito qui per caso incuriosita e un po’ perplessa, confesso. Studio scienze per la pace a Pisa e come argomento della tesi ho scelto il tema dell’educazione e i suoi nessi vari, che in questo momento storico-politico il nostro paese sta attraversando con una buona dose di ignoranza (delle caste della politica, intendo). Per questo mi interesso a tutti coloro che si pronunciano in merito… Ci sono spunti che condivido in quel che scrivi, ma anche cose che mi paiono in contraddizione: in particolare il porre in equivalenza il conflitto e la violenza. Approfondendo, ma neanche tanto il tema dell’educazione alla pace si parla di gestione dei conflitti, e tutti i teorici di questa “scuola” ribaltano l’idea di conflitto come negativa. In questo siamo in sintonia, il conflitto è inevitabile ed anzi positivo, necessario ad ogni esperienza di apprendimento e di vita. Non per questo però bisogna arrivare alla violenza, se mai il contrario, infatti da Galtung a Novara si parla della capacità di gestione del conflitto come strumento per evitare la violenza, e dell’esplosione della violenza (intesa come forza distruttrice) proprio come conseguenza di conflitti latenti, repressi. La nostra società e, di conseguenza le istituizoni che si occupano di educazione, tendono proprio a condannare il conflitto e non ci vogliono insegnare ad affrontarlo a saper litigare, questo genera violenza. Cosa ne pensi di questa riflessione? conosci il http://www.cppp.it/? In auspicio di un confronto costruttivo, saluti. Silvia
Apr 23, 2011 @ 10:21:43
Ciao Silvia e benvenuta. Non ho capito però dove avresti visto nel mio post l’equivalenza conflitto-violenza. Sono pienamente convinto di quello che dici, ovvero che la violenza, quasi sempre, è il risultato di una mancata elaborazione dei conflitti. In realtà ho scritto:
“Non (si) può sempre risolvere il conflitto specifico e potente che il rapporto educativo produce in una dinamica partecipativa e negoziata”. Ovvero, non credo che vi possa essere strategia partecipativa e negoziale che possa ridurre a zero la violenza nella relazione educativa. Per questo, ovviamente, sono convinto che quella strategia vada seguita con particolare forza. Senza però immaginare che possa essere sempre in ogni caso capace di allontanare la violenza.
In altre parole, la violenza non può essere eliminata del tutto dal rapporto educativo (ovviamente non sto parlando di violenza in senso solo fisico, utilizzo questo termine in senso lato a indicare ogni forma di coercizione della volontà dell’altro) dunque non basta imparare strategie per evitarla o prevenirla, occorre anche saperla affrontare assumendosene la responsabilità per contenerla ai livelli più bassi possibile.
Questo era il senso delle mie parole.
Certo che conosco il centro di Daniele Novara. Anche se non direttamente. E mi auguro presto di poter avere dei contatti in prima persona.
Igor